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a cura di Vincenzo Caruso
La Storia Militare locale consente di mettere in luce, attraverso una ricerca indiretta, una storia parallela a quella già nota che, pur camminando su binari diversi, si integra e si completa con la Storia Patria studiata e raccontata attraverso la consultazione delle fonti cosiddette “canoniche”.
Lo studio dei documenti esaminati dall’Autore per la stesura de “la Sicilia nella Battaglia di Lepanto”, oggi certamente più completo e arricchito da recenti ricerche, risulta essere, per i tempi in cui è stato effettuato (sec. XVIII), certamente molto approfondito e accurato per la faticosa consultazione delle fonti, non sempre di facile reperibilità.
In un periodo in cui non esistevano i moderni mezzi di comunicazione (il telefono, Internet, l’automobile, l’aereo), la ricerca e la consultazione di un libro, di un documento custodito in una biblioteca ubicata lontano dalla propria città, doveva indubbiamente risultare alquanto lunga e faticosa.
Il testo qui riproposto è la testimonianza, per la ricchezza delle fonti citate, dell’enorme passione che l’Autore, allora trentenne, mise nel redigere la ricerca di una pagina di storia di cui, in ogni parte d’Europa, si sono consumati “fiumi d’inchiostro”; la pregevole biblioteca di famiglia, i rapporti con l’aristocrazia nazionale e un’intensa attività epistolare hanno contribuito alla raccolta dei documenti di cui si arricchisce il lavoro.
Al fine di garantire ad un pubblico eterogeneo una più scorrevole lettura, si è preferita una ristampa non anastatica del testo originale, in cui molti caratteri o parole, fedelmente trascritte dall’Autore nella forma tratta dai documenti originali e quindi di non facile interpretazione, sono state rese più intellegibili, con la particolare attenzione di correggere anche alcuni errori di stampa riportati nell’edizione di Principato del 1892.
Per dare completezza alla ristampa, è stato inserito di seguito, in appendice, «l’aggiornamento» che Arenaprimo pubblicò, con nuovi documenti, nel 1903 dal titolo “Il ritorno e la dimora a Messina di Don Giovanni d’Austria e delle Flotta Cristiana dopo la Battaglia di Lepanto”.
In coda al testo, il prof. Rosario Moscheo, pone l’accento sulla nota tradizione che attribuisce al Maurolico il merito della vittoria della battaglia per i “preziosi suggerimenti” offerti dallo scienziato al giovane Principe, non supportata da alcuna verità storica o da documenti che ne sostengono l’attendibilità.
Infine, a cura dell’Architetto Nino Principato, si è voluto offrire un approfondimento su quanto resta, in Sicilia, nell’Arte e nei Monumenti, ad evocare ancora oggi quell’epico scontro.
La Battaglia di Lepanto, ricordata come la più grande battaglia navale della storia, è uno di quei “fatti d’Arme” strettamente legata alla Sicilia e, in particolare, alla città di Messina per la concentrazione, nel suo importantissimo porto, della Flotta della Santa Lega composta da oltre duecento navi provenienti da Spagna, Venezia, Savoia, Genova, Napoli, Malta, Stato Pontificio e dalla stessa Sicilia, che intervenne con 10 Galee di cui due armate a Messina. Nelle sue acque, 80.000 soldati si radunarono prima della partenza, e in esse vi fecero ritorno vittoriosi guidati da Don Giovanni d’Austria, il 1° novembre del 1571.
A quel tempo, la difesa del Regno di Sicilia era costituita da una Fanteria spagnola inquadrata nel Terzo di Sicilia, composta da 2000-3000 uomini; dai cavalleggeri (300-350 uomini); dalla Milizia costituita da 10.000 fanti e 600 cavalieri; dalle guardie alle Torri di avvistamento, con un presidio di circa 1000 uomini e dalla Flotta di Sicilia, vera forza armata mobile, costituita da 10 galee (6 ordinarie e 4 che armate al bisogno, a proprie spese, da Messina, Palermo e Trapani).
Le scorrerie dei pirati turchi, le devastazioni e le rapine dei corsari Dragut, Ariadeno Barbarossa sulle spiagge isolane, a Lipari e a Pantelleria, avevano infatti indotto le città di Messina, Palermo, Trapani, già alla fine del XV secolo, ad armare a loro spese superbe galere che sovente venivano aggregate alla Squadra ordinaria del Regno di Sicilia.
Molti storici del tempo, ignorando le condizioni politiche e i privilegi di cui godeva la Sicilia sotto la Spagna, avevano erroneamente incluso le galere siciliane nella flotta inviata da Filippo II.
Recenti studi dimostrano invece che il Parlamento Siciliano, nonostante gli 89.000 scudi corrisposti dall’afflitta finanza isolana al Governo Spagnolo sino ai primi anni del secolo XVII, spendeva annualmente la somma di 156.193 scudi per la squadra navale: 37.764 scudi per il mantenimento di sei galee: la Capitana, la Milizia, la Padrona e le tre galere Sensiglie; 4.331 scudi per soldi e paghe al Capitan generale, ai capitani, ai governatori, ai cappellani, agli artiglieri, ai maestri, ai marinari, ai piloti, ai rematori ed il rimanente per il munizionamento, l’esercizio, il vestiario ed altro, attinente alle suddette galere ed alle ciurme, compresi anche 2.000 scudi annuali per la costruzione ad ogni triennio di una nuova nave.
La flotta siciliana diede prova di sé non solo nel contrastare le incursioni barbaresche sulle coste, ma intervenne con onore nelle imprese di Tunisi e della Goletta sotto Carlo V, nella difesa di Malta e a Lepanto dove la Flotta del Regno di Sicilia, sotto il comando di Giovanni di Cardona, venne destinata al Corpo di Avanguardia nello schieramento della Battaglia.
In tale occasione, alla Flotta ufficiale, si unirono le navi dei Venturieri poste al comando del patrizio messinese Vincenzo Marullo, Conte di Condojanni e di Augusta, che armò a sue spese due Galere. Su una di esse, il Duca di Parma e il Duca di Urbino scelsero di tornare a Messina dopo la battaglia.
Numerosi furono i Siciliani che si imbarcarono per Lepanto, provenienti da Palermo, Messina, Siracusa, Enna, Catania e dalle loro province e numerose sono le testimonianze artistiche e iconografiche che raccontano, in varie parti della Sicilia, l’epica impresa di cui si tramandò la fama attraverso le cronache, le poesie, i monumenti e i dipinti.
La calorosa accoglienza offerta alla flotta dell’allora “hispanica” Messina al momento della partenza e al ritorno vittorioso dopo la battaglia, ricordata ai giorni nostri con una rievocazione storica di crescente attrazione turistica durante il Ferragosto messinese, e di cui un’edizione risale addirittura al 1903, è rigorosamente documentata in questo testo di Arenaprimo e ci consente di comprendere lo “status” dell’Isola e della città del Peloro, importante crocevia delle rotte dei mercanti e dotata di una piazzaforte militare di prim’ordine posta nel cuore del Mediterraneo; una piazzaforte di grande valenza dal punto di vista difensivo, “attenzionata” anche dai cartografi turchi che, come il celebre Piri Re’is, disegnarono Messina con i suoi palazzi e le sue fortificazioni, in pieno dominio spagnolo, caratterizzandole con le tipiche guglie degli edifici arabi (quasi a voler profetizzare l’imminente sottomissione della città all’Impero Ottomano).
La Sicilia, posta al centro del Mediterraneo, fu il baricentro strategico delle rotte delle Armate che composero la grande Flotta Cristiana sotto il comando del Generalissimo Don Giovanni d’Austria; tra luglio e settembre 1571, un numero immenso di navigli si diedero appuntamento nello straordinario e capiente porto di Messina per muovere incontro al Turco e ritornarvi vittoriose il 1° Novembre, accolte dal popolo festante.
Oggi, la ristampa di questo pregevole testo, inserito nella collana “La Storia Militare nello Stretto di Messina”, arricchito da immagini, anche inedite, offre allo studioso, ma anche all’appassionato lettore, la piacevole riscoperta di una pagina di storia che educa al senso di appartenenza e aiuta a non far perdere il filo conduttore del proprio passato; uno stimolo per proiettarsi al futuro, nel rispetto di coloro che hanno speso la loro vita per costruire il nostro presente.
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